Concessioni balneari verso il 2027: criticità, PUA, indennizzi
Entro il 2027 le gare per le concessioni balneari bussano alle porte, ma il quadro è tutt’altro che chiaro. Bandi comunali frammentati, regole disomogenee, indennizzi incerti e PUA spesso non aggiornati mettono a rischio investimenti, servizi e continuità gestionale. Serve un disciplinare nazionale unico che garantisca trasparenza, concorrenza e tutela degli operatori, evitando contenziosi infiniti su tutto il territorio italiano.
L’avvicinarsi del 2027 pone il settore balneare italiano di fronte a un complesso dilemma normativo e operativo. Le principali criticità, come evidenziato dalle associazioni di categoria, riguardano l’assenza di un quadro chiaro per l’assegnazione delle concessioni e la frammentazione dei bandi locali.
Questa situazione si traduce in centinaia di procedure diverse, incertezze sulle modalità di valutazione delle offerte e complessità tecniche che favoriscono la burocrazia a discapito dell’innovazione. Inoltre, la spinosa questione degli indennizzi per gli operatori uscenti, aggiunge ulteriore pressione.
Queste sfide minacciano non solo la stabilità delle imprese esistenti, ma anche la qualità dei servizi offerti alle decine di milioni di turisti che frequentano le nostre coste e la capacità di attrarre nuovi investimenti, evidenziando le problematiche dei bandi attuali e la gestione del demanio statale.
Perché serve un disciplinare unico e chiaro per le concessioni
In un contesto di grande incertezza legislativa, aggravata dall’assenza di una normativa tecnico-legislativa unica e vincolante a livello nazionale, molti Comuni italiani, in particolare quelli costieri con forte afflusso turistico come Rimini o Roma, si sono trovati a emanare con urgenza bandi di gara per la riassegnazione delle concessioni balneari.
Spesso, queste procedure presentano scadenze irrealistiche per l’attuazione delle proposte da parte degli aspiranti gestori o dei concessionari uscenti.
Questo approccio frammentato, spesso dettato dall’urgenza di rispettare le scadenze europee imposte dalla Direttiva Bolkestein, ha portato alla creazione di bandi con requisiti e criteri di assegnazione del punteggio basati su parametri difficilmente realizzabili nel breve e medio termine.
Ne sono esempi l’installazione di impianti fotovoltaici su strutture storiche tutelate o la realizzazione di nuove aree verdi con vincolo idrogeologico.
Tutto ciò sta generando disorientamento tra gli operatori e numerosi contenziosi, con molti ricorsi presentati ai TAR nell’ultimo anno.
La mancanza di uniformità trasforma il mercato delle concessioni balneari in un mosaico di regole disparate, compromettendo la trasparenza e una concorrenza equa e realistica.
- È fondamentale che un disciplinare di gara uniforme, simile a quello adottato da enti nazionali come Consip per gli appalti pubblici di forniture, sia elaborato a livello centrale e non delegato ai singoli enti locali. Questo è cruciale perché il demanio marittimo è un bene statale unitario e la sua gestione dovrebbe rispondere a criteri omogenei su tutto il territorio nazionale. La definizione di caratteristiche tecniche specifiche, come dimensioni minime degli stabilimenti, tipologie di servizi obbligatori e categorie di opere migliorative da eseguire in loco, procedure di valutazione standardizzate, requisiti di partecipazione chiari e disciplinari di gara allineati a una normativa tecnica nazionale, garantirebbe parità di condizioni e maggiore certezza giuridica.
- Il governo ha più volte evidenziato l’urgenza di proteggere le imprese balneari che, nel corso degli anni, hanno effettuato investimenti considerevoli, stimati in centinaia di euro per stabilimento negli ultimi 10 anni. Queste imprese contribuiscono in modo significativo all’economia locale e nazionale con un indotto annuale importante. È imperativo garantire indennizzi certi, rapidi e dignitosi per gli operatori uscenti. Riconoscere gli sforzi, i miglioramenti e i valori aggiunti che i gestori attuali hanno apportato, trasformando le spiagge da semplici arenili a veri e propri centri di attrazione turistica e punti di riferimento per le comunità locali, è un atto dovuto. L’assenza di un meccanismo di indennizzo chiaro e proporzionato rischia di compromettere la fiducia nel sistema e di generare un’ondata di fallimenti e/o rinunce.
- Per gli aspiranti nuovi gestori, la mancanza di un quadro normativo definito si traduce in incertezza. È indispensabile che le offerte tecniche ed economiche siano delineate da un disciplinare unico e chiaro, che definisca in modo trasparente le aspettative e le condizioni. Questo non solo facilita la partecipazione ai bandi ma assicura anche che le proposte siano comparabili e che la selezione avvenga su basi eque e meritocratiche, promuovendo una concorrenza competitiva e inappellabile. Ad esempio, dovrebbe essere specificato che il punteggio tecnico (max 70 punti) privilegerà progetti di riqualificazione energetica e sostenibilità ambientale, mentre il punteggio economico (max 30 punti) terrà conto non solo del canone ma anche della proposta di investimento pluriennale.
- Le fideiussioni o linee di credito richieste dovrebbero essere proporzionate agli investimenti previsti e alle dimensioni dello stabilimento, fungendo da garanzia contro eventuali danni o problemi di gestione. La loro funzione è tutelare sia gli utenti che gli Enti appaltanti. Un esempio di importo proporzionato potrebbe essere una fideiussione calcolata sull’investimento totale o sul valore dell’impianto fisso, evitando gli irrisori 1.000 euro richiesti in alcuni bandi recenti che non offrono alcuna garanzia reale. L’importo della fideiussione, in particolare, dovrebbe essere calibrato in base al valore complessivo della concessione, alla quantità e qualità dei servizi erogati e alla complessità delle strutture gestite, evitando importi simbolici che non offrono reali garanzie o importi eccessivi che scoraggiano la partecipazione.
Una vera riforma in questo caso dovrebbe prevedere procedure di gara che garantissero effettiva concorrenza e piena trasparenza, assicurando al contempo la continuità dei servizi e un costante miglioramento della qualità per l’utenza, in linea con le normative sui Sistemi di Qualità Aziendale (es. ISO 9001/Vision).
La concorrenza e la trasparenza si ottengono attraverso regole di gara chiare e coerenti con le esigenze del territorio specifico, ma inserite al contempo nel contesto nazionale.
Per il settore marittimo e demaniale, le procedure avrebbero dovuto allinearsi a un Disciplinare unico, il cui testo avrebbe dovuto essere pronto e operativo entro il 30 giugno 2027.
Invece, l’attuale frammentazione e la fretta nell’emanazione dei bandi locali, che in alcuni casi hanno visto l’emanazione di decine di bandi diversi per altrettante spiagge, aumentano solamente il caos e la confusione in un passaggio epocale imposto dall’Europa.
L’Italia dovrebbe rispondere con una legge attuativa unica e ben ponderata, capace di contemperare le direttive europee con le specificità del proprio territorio, come la presenza di siti archeologici o aree marine protette.
Controllo dei P.U.A. (Piani di Utilizzazione degli Arenili)
Un aspetto cruciale, spesso sottovalutato o affrontato con ritardo, è il controllo prioritario e l’aggiornamento dei Piani di Utilizzazione degli Arenili (P.U.A.).
Questi strumenti urbanistici, attraverso i quali i Comuni, su delega delle Regioni, regolano le attività ricreative ed economiche sulle spiagge, sono spesso obsoleti, risalendo talvolta agli anni ’90 o primi 2000, e non conformi alle reali esigenze del territorio moderno, che richiederebbe la definizione, tra le altre, di aree dedicate a sport acquatici o spazi per disabili.
È indispensabile che tali piani attuativi siano verificati, aggiornati, con una cadenza di 5 o 10 anni e validati prima dell’emanazione di qualsiasi bando di gara per le concessioni.
Questa verifica dovrebbe essere accompagnata da una specifica normativa tecnica che regoli in modo chiaro le concessioni del demanio pubblico, garantendo coerenza tra la pianificazione territoriale e le procedure di assegnazione. Solo così si può evitare che i bandi siano basati su presupposti non allineati con la realtà o con le normative di riferimento, dove in alcuni casi sono stati emanati bandi che prevedevano la rimozione di stabilimenti storici per far posto a spiagge libere, senza un adeguato studio di impatto economico e sociale e senza il preventivo interpello delle autorità competenti che devono comunque esprimere il loro assenso o diniego.
Impatto sugli investimenti: manutenzioni, innovazione e qualità dei servizi
La combinazione di concessioni troppo brevi, l’incertezza sulla validità futura dei bandi frammentati e la presenza di regole complesse e spesso inattuabili, rende gli investimenti nel settore balneare estremamente rischiosi, quasi nulli o inefficaci. Ciò si traduce in un grave danno per la qualità dei servizi offerti agli utenti finali.
Gli operatori, non avendo garanzie a lungo termine sul proprio investimento, sono disincentivati a effettuare la manutenzione straordinaria necessaria per mantenere le strutture in condizioni ottimali e ad apportare miglioramenti.
Questo comporta una progressiva degradazione degli stabilimenti e delle infrastrutture marittime, come l’arrugginimento di passerelle, la scarsa manutenzione di docce e servizi igienici, impianti elettrici e idrici, e la mancanza di innovazioni come punti di ricarica per veicoli elettrici.
Tutto ciò sta mettendo a rischio non solo la sicurezza e il comfort dei fruitori, ma anche la conservazione di edifici che in alcuni casi rappresentano un patrimonio storico e architettonico che dovrebbe essere tutelato e valorizzato, almeno stando a quanto prescritto in norme nazionali precedenti a tutela del territorio, degli immobili e anche degli oggetti di design d’epoca amovibili che hanno visto da sempre la propria collocazione nel contesto in cui sono stati progettati. L’assenza di prospettive a lungo termine soffoca l’innovazione e la modernizzazione del comparto, rallentando l’adozione di soluzioni eco-compatibili e servizi digitali avanzati.
Caso Roma Capitale: ricorsi, fideiussioni e indicazioni per i Comuni
Il caso di Roma Capitale è emblematico delle criticità che si stanno verificando a livello nazionale. Qui, bandi specifici ed eccessivamente frammentati, con requisiti che prevedevano fideiussioni irrisorie di soli 1.000 euro a fronte di stabilimenti con un valore di milioni di euro (sia in ragione di valore degli immobili, sia in ragione di saggio di capitalizzazione) hanno generato una valanga di ricorsi al TAR e successivamente al Consiglio di Stato.
Questa situazione, purtroppo, si ripete in diversi settori che cercano di recepire le direttive europee, come quello relativo ai manufatti edilizi nelle zone denominate città storiche. Non era certo questa l’Italia che i padri fondatori dell’Europa avevano in mente, né l’Europa che gli italiani si aspettavano votando nel 1989.
Leggi poco chiare, situazioni frammentate e dubbie, frutto di normative troppo complesse e leggi dell’ultimo minuto, prive di norme tecniche di attuazione nazionali o non corredate da regole che tengano conto dei vincoli paesaggistici, artistici e culturali (es. i vincoli della Sovrintendenza e della paesaggistica per le aree archeologiche della costa laziale), spesso ignorano le leggi statali già esistenti a tutela delle coste italiane, generando un caos normativo che paralizza lo sviluppo.
Consiglio di Stato: possibili scenari post-sentenza e rischi operativi
Cosa succederà dopo il giudizio di merito del Consiglio di Stato per le spiagge di Roma Capitale?
La sentenza potrebbe ridefinire le carte in tavola, ma il “modus operandi” pre-Europa, considerato clientelare e basato su logiche di privilegio, come le proroghe automatiche trentennali, viene così abolito senza una valida alternativa.
Questo vuoto normativo della fase attuativa sta bloccando attività produttive e paralizzando lo sviluppo di strutture, tutti in attesa di norme tecniche nazionali più chiare, meno coercitive e soprattutto più operative. L’accumulo di leggi contraddittorie e spesso sovrapposte, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei territori e degli immobili, quali ad esempio il Codice dei Beni Culturali o le leggi urbanistiche regionali, ostacola una ripresa economica dinamica e un rilancio del settore turistico, che perde vari miliardi di euro all’anno a causa di questa incertezza.
Inoltre, il timore di modifiche repentine ma epocali, come quelle che stanno riguardando gli stabilimenti balneari, sta irrigidendo gli Enti garanti della tutela ambientale, architettonica, paesaggistica, amministrativa e culturale.
Questi enti, che dovrebbero assicurare il rispetto di regole e standard basati sui concetti più basilari del diritto pubblico, privato, amministrativo e civile, si trovano a dover operare in un contesto di incertezza, il che porta a posizioni eccessivamente conservative, come dinieghi sistematici per qualsiasi intervento di innovazione e a rallentamenti burocratici, con tempi di autorizzazione biblici per semplici interventi di manutenzione straordinaria.
L’Italia al limite del cambiamento epocale in ragione della gestione costiera
L’Italia deve prepararsi a questo cambiamento con una profonda riflessione, studiando prima la propria storia e decidendo cosa abrogare e cosa mantenere del proprio corpus normativo, in questo specifico caso soprattutto la tutela del paesaggio costiero, per poi guardare al futuro nell’applicazione delle direttive europee, come indicato da Bruxelles e Strasburgo.
La domanda cruciale è: verrà finalmente varata una legge attuativa nazionale che regoli le gare con un disciplinare unico per l’intero settore, stabilendo tipologie di gara standardizzate?
I tecnici e gli operatori del settore ne saranno a conoscenza forse non prima di ottobre, e nel frattempo i servizi per i villeggianti sono ridotti al minimo indispensabile. Gli investimenti previsti sono interrotti e i gestori esistenti operano nell’incertezza più totale attraverso proroghe dell’ultimo minuto, senza una chiara visione del futuro.
I Comuni, nel frattempo, richiedono, in tempi di gestione ristretti, miglioramenti significativi come l’installazione di energie rinnovabili che, non potrebbero essere installate a vista su stabilimenti storici e tutelati da vincoli paesaggistici. Richiedono anche l’abbattimento di muri o altre strutture per migliorare la visibilità, dimenticando che tali interventi richiedono lunghi tempi per le procedure progettuali, inclusi pareri vincolanti di soprintendenze, regioni, enti preposti alla viabilità e al demanio marittimo, rendendo impossibile rispettare le scadenze imposte.
